Apocrifo di Isaia
L'apocrifo di Isaia.
Menzionato già da Origene, col titolo di Ascensione di A, come frutto di tradizioni giudaiche sul martirio del profeta, questo scritto, in voga presso eretici già ai tempi di Epifanio, sembra si sia conservato nel Medioevo presso i Bogomili di Tracia e i Catari d'Italia, ai quali pare appartenesse una versione latina, edita a Venezia da Antonio De Fantis nel 1522 insieme con visioni di S. Matilde. Nuovi cenni si ritrovano d'un manoscritto greco, alla fine del sec. XVII presso il Cotelier e di uno etiopico presso il Petraeus nel 1660: quello, col titolo di visione, non fu più trovato; questo invece, edito la prima volta dal Laurence (1819), è chiamato Ascesa o Ascensione ('Ergat). Tale versione etiopica è l'unica che ci dà completo l'apocrifo, riaffi0rato in versioni greca, latina e slava (serba e russa) frammentariamente o in forma di parafrasi.
Il contenuto ha una propria e vera unità. I. subisce le sevizie del re Manasse ed è tagliato con una sega a istigazione del diavolo Beliar, specialmente a cagione delle sue visioni avute, al settimo cielo, sul futuro Redentore; di questo vede la preesistenza divina, la curiosa Incarnazione (dovendo discendere attraverso i sei cieli inferiori, quando rivelandosi con una parola d'ordine, quando no, agli spiriti che presiedono alle singole sfere), lo vede nascere virginalmente a Betlemme, due mesi dopo l'annunziazione dell'angelo, morire, risorgere, e risalire al cielo: lo preannunzia poi giudice alla fine dei tempi.
Ma le due parti, che formano un tutto certamente cnstiano, sembrano suturate insieme, dopo rimaneggiato l'elemento giudaico del martirio: in tal senso può accettarsi l'idea, prelavente tra i critici, della mancanza d'unità, asserita invece ultimamente da V. Burch. Di qui la difficoltà di giungere a un risultato sicuro circa la data e il luogo d'origine dell'apocrifo; ma dalle affinità con l'apocrifo Vangelo di Pietro sembra potersi assegnare all'Egitto la redazione cristiana, non dopo il sec. IV. stante l'età dei frammenti latini editi da A. Mai e dei papiri greci pubblicati da B. Grenfell e A. Hunt.
Il nostro apocrifo testifica chiaramente l'interpretazione messianica del vaticinio di I. riguardo al parto verginale (Is., VII); ma presenta puritinte di docetismo e gnosticismo, che farebbero escludere la sua origine nel sec. I, come proporrebbe, dopo altri, il Burch. È comunemente accettata l'identificazione del matricida in Nerone, dato come persecutore d'uso dei dodici, cioè di S. Pietro.